I limiti del diritto di satira


Cassazione sezione V 18.10.2012 – 31.01.2013 n. 5065

In data 26.10.2001, il quotidiano La Repubblica pubblicava una vignetta satirica corredata dalla seguente didascalia: “il cav. S. Banana vuole indietro la sua onorabilità e la mazzetta che Mediaset ha imprestato alla Finanza”.

La vignetta, si riferiva alla condanna della Fininvest (e non Mediaset) da parte della Cassazione in un procedimento per tangenti, nel quale Silvio Berlusconi aveva ottenuto l’assoluzione.
Erroneamente, quindi, nella vignetta si indicava la società Mediaset anziché Fininvest e, pertanto, essa era stata reputata offensiva dalla società.
Il Tribunale di Roma condannava gli autori per diffamazione nonché al risarcimento del danno in favore di Mediaset.


In appello la sentenza veniva riformata.
Invero, rilevava la Corte, oggetto della satira era Berlusconi e non già le società, si escludeva pertanto il dolo nella erronea indicazione delle stesse. Parimenti, non si ravvisava il ricorrere della colpa trattandosi soltanto di mancanza di coscienza e volontà.

Mediaset ricorre per Cassazione.
La Suprema Corte chiarisce quindi i limiti del diritto di satira.
Evidenzia, innanzitutto, come essa consista in una forma artistica che mira all’ironia, al sarcasmo ed alla irrisione di chi esercita un pubblico potere. Pertanto, il relativo esercizio è incompatibile con il parametro della verità. In altre parole, laddove si resti entro i limiti del diritto di critica, ci si può discostare dal vero. (Cass. sez. V 20.10-22.12.1998 n. 13563; Sez. V 02.12.1999-23.02.2000 n. 2128, CED 215475)
Tuttavia, se nel contesto del discorso satirico, ma al di fuori dell’oggetto della satira, è fornita una notizia, essa deve essere vera. Non potendo in tale ipotesi invocarsi la scriminante dell’esercizio del diritto di satira.

Nel caso di specie, il bersaglio della satira era senz’altro Berlusconi, ma la vignetta aveva anche un contenuto informativo, ossia che Mediaset avesse versato una mazzetta alla Finanza.
Circostanza non vera poiché la sentenza riguardava altra società: Fininvest.
La didascalia della vignetta veicola una notizia non vera, ed il vignettista, continua ancora la Corte, aveva in tal caso l’obbligo di riferire una notizia vera non potendo essa essere scriminata dall’esercizio del diritto di satira.

La Cassazione, dopo aver chiarito che il dolo di cui all’art. 595 c.p. è generico e consiste nella consapevolezza della portata offensiva della reputazione di determinate affermazioni, non richiedendosi l’animus iniurandi ovvero il dolo specifico, ritiene che nel caso di specie sarebbe stata necessaria una normale diligenza per evitare di veicolare messaggi offensivi ed attribuire la consegna di mazzette al vero soggetto implicato, tanto più che la sentenza era stata emessa qualche giorno prima e, pertanto, una normale attenzione, avrebbe consentito di fornire una notizia veritiera. 

Alla stregua di quanto detto, la Cassazione elabora il seguente principio di diritto: “l’esercizio del diritto di satira è incompatibile con il parametro della verità. Tuttavia, se nel contesto del discorso satirico, ma al di fuori dell’oggetto della satira è veicolata una notizia, essa deve essere vero, non operando la scriminante”.

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